martedì 25 dicembre 2018

Antropologia spiccia - Natale in Giappone


Tranquilli, non è il nome di un nuovo cine-panettone (e per fortuna: nessuno vuole vedere Boldi e De Sica in mezzo ai giapponesi, grazie). No, è che proprio sotto Natale mi sono trovata a scrivere un paragrafo della tesi di laurea sul Natale in Giappone e ho pensato: "perché no, regaliamo un po' di saggezza al mondo". Essendo un regalo ovviamente siete moralmente obbligati ad apprezzare e a ringraziarmi, anche se vi fa schifo. Prego, non c'è di ché. 


Il Natale è una festa curiosa, perché è assieme la più globale e la più locale delle feste, è celebrato ovunque, con una base simile, ma ogni posto ha le sue tradizioni, diciamo una specie di sub-strato che manda gli etnologi in brodo di giuggiole. Ma iniziamo da una premessa: da dove arriva? 

(Shh, sì, lo so che lo sapete tutti che ha origini pagane, ma lo ripeto lo stesso, se no viene un post troppo corto) 

Ai tempi dell'impero romano si sono mischiate diverse feste. 
Una è quella delle calende, che sapevo essere i primi giorni del mese o qualcosa del genere, l'articolo che ho letto onestamente non è chiarissimo su questo punto, ma immagino che nelle centinaia di anni di impero le cose possano essere diverse in diversi periodi. Libanius raccontava, attorno al quarto secolo, di un festival invernale durante il quale le persone erano portate a spendere e spandere, scambiarsi regali e mangiare un sacco. Un periodo spensierato in cui pensare solo al divertimento ed essere generosi con sé e con gli altri. Quindi pare che il vero, originale spirito del Natale sia il consumismo. E il cibo, soprattutto il cibo.



Cosa simile per i Saturnali, cinque giorni di festa pazza fra il 17 e il 23 dicembre, in cui si trovano anche elementi del carnevale cristiano, tipo mascherarsi, fare scherzi e la "sospensione" della normalità. Insomma, uno spazio speciale dove entrano in vigore regole diverse, a volte ribaltate, rispetto alla vita quotidiana: i governati prendono in giro i governanti (che adesso è normale ma una volta poteva costarti la testa), gli schiavi mangiano a tavola con i padroni... Quasi tutte le culture hanno qualcosa del genere perché, in un certo senso, dedicare uno spazio al sovvertimento dell'ordine aiuta a mantenere stabile la struttura sociale. Ma questo è un altro discorso. 

Riprendendo le file: Calende e Saturnali somigliavano già molto al Natale, e c'è una terza festività a cui il Natale deve molto, il Dies Natalis Solis Invicti. Il Sole Invitto era un culto che celebrava le divinità solari ai tempi dei romani, come Elio e Mitra, e aveva origine da un culto medio orientale che il 25 dicembre celebrava la nascita del sole. 
Il 25 dicembre sono nati Elio, Mitra, Gesù, Buddha (in Corea ne festeggiano la nascita questo giorno), Newton e Justin Trudeau. Così, per dire.



In antropologia si parla di invenzione delle tradizioni: molte tradizioni che sembrano antichissime in realtà hanno molti meno anni di quello che si pensi. Tutte vengono inventate a un certo punto, o per lo meno un insieme confuso di pratiche viene canonizzato e diventa Tradizione con la T maiuscola. Questo non significa che le tradizioni abbiano meno valore o che siano finte, solo che basta una generazione (o meno, in certi casi) perché qualcosa sembri così da sempre.
Ecco, il Natale è una tradizione inventata, sembra, a metà del XIX secolo, con lo sviluppo industriale. Esisteva anche prima ed è ispirata, come abbiamo visto, a feste più antiche, ma veniva festeggiato in modo diverso e aveva molta meno importanza. Basta guardare il Times: fra il 1790 e il 1837 il Natale non viene nominato in nessun numero del Times, e anche nei venti anni successivi si trovano poco più che trafiletti puramente descrittivi. Poi, complice Dickens e il suo Canto di Natale, è diventata una festa molto popolare e da dedicare alla famiglia. 
Lo stesso in Germania: in quel periodo lo stato tedesco era appena nato e il Natale sembrava un ottimo modo per creare unità nazionale, permettendo alle particolarità locali di coesistere con una tradizione nazionale uguale per tutti e veicolata da canti (molti senza nessun riferimento cristiano) e racconti natalizi. 
Anche Babbo Natale, Santa Claus, è una tradizione inventata in America in questo periodo, ispirato a diverse tradizioni europee e trasformato nella sua forma definitiva nel 1931, da una pubblicità della Coca Cola.



Quindi pubblicità, consumismo, coloni britannici e, dopo la seconda guerra mondiale, soldati americani a metà del XX secolo hanno portato il Natale in giro per il mondo, ovunque, anche in paesi non cristiani. A non festeggiare il Natale sono rimasti pochissimi ed è una delle feste che negli ultimi 150 anni è cambiata meno pur cambiando di più, adattandosi a ogni luogo in cui arrivava, a seconda dei credi e delle esigenze.
Quindi anche atei, pagani, miscredenti e persone di altre fedi, se vogliono, possono festeggiarlo perché non è mai stato una cosa esclusivamente cristiana in nessuna fase della sua esistenza.



Prendiamo il Giappone, che poi vorrebbe essere l'argomento principale di questo post. Resoconti sul Natale come festa sono arrivati fin dai primi anni del novecento, ma hanno iniziato a festeggiarlo negli anni Cinquanta, dopo l'occupazione americana. Una festa che celebrava i legami famigliari già c'era però: il capodanno. Non ne serviva un'altra. Il Natale allora è andato a coprire un vuoto: l'occasione per festeggiare i rapporti di coppia e in particolare la pratica del "date", o "deeto" per i nostri amici giappi. Una cosa arrivata fresca fresca dall'America e che non aveva ancora trovato un suo spazio nella struttura sociale giapponese. 
Tutto sto giro complicato per dire che il Natale in Giappone oggi è la festa degli innamorati. Quando l'economia giapponese era paurosamente in crescita spendevano un sacco di soldi fra cene fuori, regali costosissimi e notte naughty in albergo che i genitori delle fanciulle disapprovavano tantissimo. Con lo scoppio della bolla economica c'erano meno soldi a disposizione, e quindi sono passati ai regali fatti a mano che dimostrano l'ammore puro e incondizionato, le classiche sciarpe che nei manga le protagoniste regalano al senpai sperando di essere notate.
I simboli del Natale giapponese sono uno strano mix fra quelli cristiani riadattatati e un'atmosfera fiabesca disneiana. Del resto Disney fa Natale in tutto il mondo. Per quanto riguarda i simboli cristiani, essendo i cristiani circa l'1% della popolazione, ogni tanto regna una simpatica confusione. Gira una leggenda metropolitana secondo cui nei primi anni ottanta hanno crocifisso il povero Father Christmas in un centro commerciale, sotto la scritta "buono shopping", facendo confusione fra il povero Babbo e la triste sorte toccata a Gesù bambino. Abbastanza traumatico.



Ma le tradizioni che più di tutte fanno Natale giapponese sono le luminarie, il KFC e la Christmas Cake.

Per quanto riguarda le luminarie, i giapponesi ne vanno pazzi. Quando sono andata in Giappone nell'aprile del 2015 siamo andate a vedere un parco sul lago Sagami che è illuminato da novembre ad aprile. Ma illuminato da pazzi, non potete capire. Faceva abbastanza strano ad aprile vedere i ciliegi fioriti e un gigantesco albero di Natale così accostati. Quindi se siete fra quelli che lasciano l'albero montato fino a carnevale: pfui, principianti.

(Non è una foto mia, ma è così sul serio. Non un posto per fotosensibili)

Il Kentucky Fried Chicken è palesemente "colpa" degli americani: durante l'occupazione cercavano qualcosa che ricordasse il loro cibo delle feste, il tacchino. I tacchini in Giappone però sono pochi e praticamente introvabili, quindi hanno ripiegato sulla cosa più 'mericana che potevano procurarsi in oriente: pollo fritto. Chi ha colto la palla al balzo quando negli anni Sessanta ha aperto una filiale in Giappone? Yup, il Colonnello Sanders, che vestiti i panni di Babbo Natale ha conquistato per sempre i giapponesi con lo slogan "クリスマスにはケンタッキー!" (Kurisumasu ni wa, kentakki!) ovvero "A Natale, Kentucky". Ha funzionato al punto che ora è necessario prenotare per comprare da KFC a Natale. Prenotare al fast food, e possibilmente entro il nove dicembre. Se sei fra i ritardatari, comunque, non oltre il venti. C'è anche la possibilità di prenotare un pollo arrosto intero o dei kit speciali da festa, per dei prezzi che vanno dai circa venti ai quasi cinquanta euro.



Ultima usanza, la Christmas Cake.
Piccola premessa: i giapponesi sono passati dal mangiare pochissimo zucchero prima dell'incontro con gli occidentali (circa 1600), a mangiarne sempre di più con la riforma Meiji, a zero assoluto durante la seconda guerra mondiale. Proprio niente niente niente, è stato tolto dalle razioni nel 1944, fra quello e i bombardamenti pensate la tristezza.
Poi sono arrivati gli americani e hanno iniziato a distribuire zucchero come razione di emergenza. Il consumo di zucchero si è impennato: oltre a dare subito energia, che per ricostruire ne serviva, faceva anche sentire benestanti, era un bel sostegno morale pensare "pochi anni fa morivo di fame e ora se voglio posso permettermi il coma diabetico". Le torte poi erano fatte con ingredienti che venivano associati alla ricchezza e all'America. Un'altra cosa che veniva associata a ricchezza, America e crescita economica dalla classe urbana era il Natale, quindi l'associazione è stata abbastanza veloce: America = torta, America = Natale, torta= Natale. Matematico.


C'è un motivo in più per cui la torta con la panna e le fragole, ovvero la classica torta natalizia giapponese, viene associata al Natale: il Natale è partito come una festa per la classe urbana che si era appena formata, in un periodo in cui i festival contadini tradizionali sparivano per il cambio di contesto. La torta era perfetta per simboleggiare il Natale come nuovo festival della famiglia (e poi dei fidanzati) non solo perché rappresentava un ideale di ricchezza, ma anche per la forma (tonda) e i colori, bianco e rosso. Infatti il cerchio nella cultura giapponese simboleggia armonia, collaborazione, unità, pienezza. I colori bianco e rosso, invece, sono i colori della bandiera del Giappone e i colori delle cerimonie: il bianco è un simbolo di purezza, il rosso respinge gli spiriti malvagi e assieme sono estremamente di buon auspicio. Anche i mochi e i manju, dolci giapponesi che una volta erano mangiati durante cerimonie sacre, avevano questa forma e questa colore (bianco la farina di riso, rosso il ripieno di azuki). Quindi anche se a vedere i nostri amici giappi mangiare una torta panna e fragole a Natale ci potrebbe venire da pensare che abbiano capito male tutta la faccenda delle torte di compleanno, beh, no, è una cosa sensata e ragionata. Non si tratta di copiare, ma di addomesticare un'altra cultura rendendola parte integrante e coerente della propria. Una cosa super, a mio parere.

Concludiamo con una curiosità triste: sapete perché in Giappone le ragazze sono paragonate alle christmas cake? Perché dopo il 25 (anni) iniziano a non essere più tanto buone (da sposare). Boooom. Stronzi.

E questo speciale di Natale è concluso, e il Natale (quasi) pure (sto finendo di scrivere alle 22.50). Però sono ancora in tempo per dirvi メリークリスマス a tutti! Alla prossima!

(Se volete approfondire, a voi le fonti principali:
Daniel Miller, Unwrapping Christmas, un libro del 1993 che trovate sicuramente in qualche biblioteca universitaria. Ha venticinque anni ma resta interessante.
Daniel Miller, Christmas, an Anthropological lens
Hideyo Konagaya, The Christmas Cake, a Japanese Tradition of American Prosperity)


2 commenti:

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